prima pagina indice del numero stampa questa pagina esporta in pdf Quaderno del 22 dicembre 2015

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2.2 Pilastri comuni dell’azione regionale


2.2 Pilastri comuni dell’azione regionale

Da una lettura sistematica dei documenti ufficiali, nonché da una verifica sul territorio circa lo stato di implementazione della modifiche normative, emergono alcuni pilastri condivisi a guidare e qualificare la posizione regionale sul tema dei servizi per il lavoro nell’ambito della riforma. Gli elementi di rilievo che, nel giudizio delle Regioni, appaiono ineludibili per un reale intervento innovatore attengono, essenzialmente, ai seguenti profili:

a) Territorialità dei servizi nell’ambito di una cornice nazionale

Le Regioni, da subito, hanno rilevato la necessità di superare le eventuali inefficienze e l’eccessiva frammentazione nell’erogazione delle politiche attive. In tal senso, non sono state pregiudizialmente contrarie a un organismo nazionale con funzioni di coordinamento (l’ANPAL, nel dettato normativo), in particolare per la verifica e l’accertamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle azioni realizzate dai territori regionali, purché fossero salvaguardati e valorizzati i sistemi regionali che hanno costruito modelli efficienti - come previsto dall’art. 1, comma 4 lettere q) e u) della legge n. 183/2014 - e fosse comunque mantenuto un forte radicamento dei servizi sul territorio. In questo senso, è stato più volte ribadito come lo spostamento a livello nazionale delle competenze sulle politiche attive per il lavoro, delineato nell’attuale progetto di riforma costituzionale, senza una chiara garanzia del ruolo delle amministrazioni regionali, determini di fatto una cesura incomprensibile tra le stesse politiche attive del lavoro e le politiche di promozione dello sviluppo economico locale, di sostegno alle imprese e della formazione professionale, che invece rimangono di competenza regionale. Le politiche attive del lavoro sono invece strettamente funzionali allo sviluppo economico e impensabili senza la formazione professionale.

In questa chiave, hanno formulato una propria proposta finalizzata alla realizzazione di un modello di sistema nazionale del lavoro, fondato su un’Agenzia nazionale per l’Occupazione e su una rete di strutture regionali, deputate alla gestione sul territorio degli interventi di politica attiva e capaci di integrarsi con le strutture private, valorizzandone il contributo. Il testo del D. Lgs. n. 150/2015, di fatto, recepisce la ratio di tale impostazione, nella misura in cui affida alle Regioni la costituzione di CPI chiamati ad erogare, al fianco dei soggetti accreditati, le misure di politica attiva sul territorio.

 

b) Investimento nelle risorse umane

Ogni processo di riorganizzazione dei servizi per il lavoro, tanto più se connesso a profonde modifiche in corso sul versante dell’assetto istituzionale, richiede un forte investimento nelle risorse umane e la definizione di modelli territoriali che assicurino la capacità dei servizi di offrire un adeguato livello di prestazione. In questa direzione, le Regioni hanno richiamato all’attenzione delle istituzioni centrali il tema delle risorse umane dei servizi per il lavoro, che resta tuttora aperto. 

Da una parte, il riordino in atto sul versante delle Province nell’ambito dell’attuazione della legge n. 56/2014 coinvolge da vicino gli operatori provinciali dei servizi per l’impiego che, seppur parte di un organico assunto in pianta stabile, vivono l’indeterminatezza della loro allocazione professionale, quanto meno in una prospettiva di sistema a regime. Dall’altra parte, va considerato che, fino ad oggi, in numerose realtà territoriali i servizi per il lavoro hanno potuto svolgere le proprie funzioni grazie all’apporto del personale con contratti a termine ovvero flessibili, nonché attraverso il ricorso a società esterne per l’affidamento di servizi a carattere specialistico e aggiuntivo. 

Si tratta, nella maggior parte dei casi, di personale qualificato con elevate competenze che, ad oggi, si rendono ancor più preziose e necessarie per far fronte agli ambiziosi compiti che, come prime ricordato, il Jobs Act assegna alle Regioni ed ai CPI. Ogni ripensamento del modello deve affrontare tale questione, al fine di tutelare i diritti di questi lavoratori, non disperdere le professionalità maturate e, soprattutto, rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini, tanto più in un contesto di riforma del mercato del lavoro che vede il nostro Paese collocarsi agli ultimi posti per lo scarso investimento di risorse finalizzate al potenziamento e alla qualificazione dei servizi occupazionali e alle politiche attive, se paragonato alla media degli altri Paesi europei. I dati di monitoraggio, in questo senso, sono eloquenti: si registra in Italia un rapporto proporzionale tra operatore e utente molto basso (1 operatore/ogni 284 utenti (2)), a fronte di quanto avviene in altri Stati con caratteristiche simile alle nostre (3).  Ciò, peraltro, in assenza di uno standard europeo e/o nazionale di funzionamento dei servizi, che offra sul piano qualitativo e quantitativo dei parametri di riferimento univoci.

 

c) Continuità di funzionamento dei servizi per l’attuazione delle nuove regole

Parallelamente, con l’entrata in vigore della nuova normativa in materia di politiche attive, introdotta dal D. Lgs. n. 150/2015, i CPI sono chiamati, oggi più che in passato, ad erogare in prima persona ai disoccupati ed alle persone a rischio di disoccupazione una vasta gamma di misure preventive per l’inserimento lavorativo e di rafforzamento dell’occupabilità, contemplate nel ricordato art. 18 del provvedimento, cui si affiancano le ulteriori disposizioni in materia di presa in carico dell’utente e definizione di patto di servizio personalizzato, gestione dell’assegno di ricollocazione e della condizionalità tra le politiche attive e le politiche passive.  Come già segnalato, si tratta di norme di grande rilevanza e impatto sul sistema, cui peraltro viene espressamente riconosciuta la valenza di LEP in materia. Le Regioni hanno, pertanto, manifestato alle amministrazioni centrali la necessità e l’urgenza di uno specifico intervento di sostegno alla continuità di funzionamento e di rafforzamento dei servizi per l’impiego, affinché possano essere messi in grado di poter svolgere i loro compiti in ottemperanza alle nuove regole, in una situazione generalizzata di grave difficoltà finanziaria e professionale. Il definendo Piano di rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro dovrebbe porsi in tale prospettiva (sul tema, infra).

 

d) Necessità di risorse ordinarie per il raggiungimento dei LEP da parte dei servizi per il lavoro

Da tempo le Regioni sostengono la necessità di prevedere una copertura del sistema dei servizi per l’impiego a regime con risorse ordinarie nazionali, sia per il completo sostegno dei LEP, sia per far fronte ai molteplici oneri di funzionamento dei servizi, chiamati a garantire le ricordate attività essenziali che la nuova normativa nazionale pone loro in capo. Come rilevato, lo stesso articolo 2 del D. Lgs. 150/2015 rimanda la specificazione sostanziale di tali LEP all’adozione di un decreto ministeriale ad hoc, da approvare previa intesa della Conferenza Stato –Regioni. In questo senso, un possibile percorso da replicare sul versante del sistema lavoro è quello già praticato in relazione ai LEA nella sanità, ove esiste uno specifico fondo nazionale dedicato.

Un primo stanziamento di risorse nazionali è stato inserito nella manovra sugli enti locali (art. 15 del decreto legge n. 78/2015, convertito nella legge n. 125/2015, su cui ci soffermeremo a breve), ma non appare ancora sufficiente sul versante del finanziamento delle attività che CPI dovranno erogare ai cittadini.  D’altro canto, non appare formalmente corretto, né sostenibile introdurre meccanismi di sostegno generalizzato dei LEP in materia di lavoro a valere sulle risorse delle Regioni, senza prevedere alcun canale di finanziamento ordinario degli stessi, attraverso la fiscalità generale. In questo contesto, le Regioni hanno confermato la disponibilità a concorrere al supporto dei servizi per l’impiego in una fase transitoria, anche con le risorse di propria titolarità, tra cui - come già avvenuto in passato e compatibilmente con il nuovo quadro finanziario della programmazione 2014-2020 – possono figurare anche le risorse addizionali del Fse, per lo svolgimento delle funzioni aggiuntive e/o a carattere specialistico dei servizi.  Tuttavia, si ribadisce che tale intervento regionale conserva sempre e comunque un carattere integrativo e non sostitutivo delle leve ordinarie nazionali e dovrà necessariamente configurarsi secondo obiettivi e modalità coerenti e conformi alle regole comunitarie sull’utilizzo dei fondi europei. In tale prospettiva, inoltre, il contributo delle Regioni dovrà essere modulato e declinato in relazione alle differenti necessità territoriali, per il conseguimento degli obiettivi condivisi e aderenti al quadro programmatico dei Por, come del resto ampiamente recepito proprio nello schema di convenzione attuativa dell’Accordo Quadro.


Note:

(2): Rapporto di monitoraggio sui servizi per l’impiego 2014. L’indagine svolta dal ministero del Lavoro (condotta nel 2014 e riferita a dati dell’annualità 2013) registra, di fatto, un incremento del lavoro a carico dei servizi per l’impiego italiani, a fronte della riduzione dell’organico degli operatori dei servizi. Nel 2013, infatti, risulta che il numero medio di individui che si sono registrati presso i servizi effettuando una DID è passato dalle 254 unità del 2012 a 284 unità.

(3): Dai dati Eurostat, riferiti all’anno 2012, risulta che il rapporto è pari ad un operatore su 20 disoccupati registrati nel Regno Unito, ad un operatore su 65 disoccupati registrati in Francia ed un operatore su 26 disoccupati registrati in Germania. Fonte: Commissione Europea e Dati Eurostat 2012.