Quaderno del 28 giugno 2013
DOSSIER - Servizi Per Il Lavoro
Servizi per il lavoro: stato dell'arte e ipotesi di riforma
Evoluzione del contesto istituzionale e profili di incidenza
Glossario:
Sono i “servizi competenti”, vale a dire i Centri per l’impiego (CPI) operanti su base provinciale e gli operatori pubblici e privati accreditati e/o autorizzati, in conformità delle normative regionali, a svolgere le funzioni relative all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, alla prevenzione delle disoccupazione di lunga durata, alla promozione dell’inserimento lavorativo, alla proposta di iniziative di riqualificazione professionale. La normativa nazionale e regionale determina gli interventi rivolti ai destinatari dei servizi per il lavoro, tra cui inoccupati/disoccupati, giovani, adolescenti che hanno assolto all’obbligo scolastico, donne, lavoratori percettori di ammortizzatori sociali, imprese.
Fonte: Art. 1, comma 2 lettera a), b), d), e), f) e g) e art. 3 del D. Lgs. 181/2000 e successive modifiche; art. 4, comma 1 lettera e) del D. Lgs. 469/1997; art. 2, 3 , 6 e 7 del D.Lgs 276/2003 e successive modifiche.
Visualizza il glossario generale
Il dibattito sul ruolo dei servizi per il lavoro, nel momento in cui scriviamo, appare fortemente in evoluzione.
I dati disponibili non sono incoraggianti. Da uno studio pubblicato su Il Sole 24 Ore (2), sembrerebbe che nel 2011 solo il 32% dei disoccupati si sia rivolto ai centri per l'impiego (il dato più basso della UE a 27, escluso Cipro); in media appena il 3,9% dei disoccupati trova un impiego grazie al collocamento pubblico. Nel giro di tre anni, mentre le risorse investite in ammortizzatori sociali sono aumentate di oltre il 20%, quelle destinate a politiche attive e servizi per l'impiego sono calate, rispettivamente, del 6 e del 10%. Secondo l'elaborazione di Datagiovani per Il Sole 24 Ore sull'archivio Eurostat, l'Italia è tra gli Stati che spende meno in politiche del lavoro rispetto al Pil: solo l'1,7%, contro una media europea superiore al 2%. Con l’irrompere della crisi economica, tutti gli interventi sono stati naturalmente concentrati sugli ammortizzatori sociali, ad inevitabile detrimento delle risorse investite per la ricollocazione occupazionale dei lavoratori mediante le politiche attive. Dopo il 2008, a fronte di un aumento medio annuo del 23% nella spesa in sussidi passivi, i servizi per l'impiego hanno registrato al contrario un -10% nelle somme investite, con un calo del 6,4% per le politiche attive. L’Italia appare dunque il Paese europeo con il gap più ampio tra sussidi passivi e politiche attive (con l’eccezione della Romania); su un budget di circa 27 miliardi l'anno per le politiche del lavoro ed una platea di disoccupati che ha sfondato quota 3 milioni, circa l’80% delle risorse è assorbito dalle indennità monetarie, mentre esigue (circa 500 milioni) sono quelle riservate agli SPI.
La materia si presenta oggi come un "cantiere aperto", soprattuto alla luce di due importanti elementi di novità che contribuiscono notevolmente ad arricchire il quadro vigente anche attraverso una nuova impostazione della problematica:
- da una parte, sul piano istituzionale, il processo di riordino del sistema delle Province, con la conseguente questione della riallocazione delle loro funzioni (tra cui anche quelle relative agli SPI), al fine di garantire la continuità delle prestazioni al cittadino. La discussione, inoltre, si intreccia inevitabilmente con l’evolversi del disegno di riforma costituzionale, che proprio in questi giorni sta muovendo i primi passi con l’istituzione di un Comitato parlamentare ad hoc, con la finalità di pervenire tra l’altro ad un nuovo assetto del riparto delle competenze tra i soggetti istituzionali mediante una revisione del Titolo V della Costituzione;
- dall’altro, la riflessione condotta sul versante del negoziato tra l’Unione europea e l’Italia (amministrazioni centrali e Regioni) per pervenire alla definizione dell’Accordo di Partenariato relativo alla programmazione dei fondi europei per il periodo 2014-2020, secondo risultati attesi, priorità e metodi di intervento.
Alla luce di tali fattori e per far fronte alle richiamate criticità di funzionamento del sistema dei servizi (sia in termini di risorse umane, finanziarie e strumentali preposte, sia di raggiungimento effettivo degli utenti), si stanno affacciando sul panorama nazionale alcune ipotesi sostanziali di modifica dell’assetto dei servizi per il lavoro, anche mediante il rilancio di un modello nazionale di sistema con l’eventuale nuova centralizzazione di alcune funzioni.
Si tratta di numerosi tasselli, che qui tentiamo di ricostruire con piccoli sintetici cenni.
Con l’articolo 23 della legge n. 214 del 2011 (il provvedimento “Salva Italia”) e con l’articolo 17 della legge n. 135 del 2012 (in materia di cd. spending review) è stato avviato un processo di riordino delle Province e delle loro funzioni, ad oggi non ancora concluso.
Sull’argomento, anche a seguito della mancata conversione in legge di un decreto legge nel mese di novembre 2012, è intervenuta da ultimo la Legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012), che ha di fatto sospeso fino al 31 dicembre 2013 il cuore delle disposizioni della legge 214 in materia (articolo 23, con riguardo specifico ai commi 18 e 19) per garantire per tutto l’anno in corso la certezza delle funzioni provinciali, in attesa di una revisione organica.
In estrema sintesi – al netto delle problematiche di ordine costituzionale e tralasciando le parti della riforma riguardanti più strettamente l’accorpamento delle Province e le modifiche/soppressioni degli organi provinciali di governo, proposte nella logica della riduzione dei costi legati agli apparati burocratici e non pertinenti con l’argomento trattato in questa sede - le norme nazionali comportano una duplice dimensione di intervento:
- da una parte, riconoscono alle Province esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni, nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze;
- dall’altra, sanciscono che lo Stato e le Regioni, mediante una propria legge, da adottarsi secondo il quadro delle rispettive competenze, provvedano a trasferire ai Comuni le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo il caso che, per esigenze di unitarietà di esercizio, le stesse non siano acquisite dalle Regioni sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni, lo Stato provvede con legge in via sostitutiva. Inoltre, lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono al trasferimento dei beni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie; a tal proposito, la legge specifica che la decorrenza dell'esercizio delle funzioni trasferite è inderogabilmente subordinata ed è contestuale a tale effettivo trasferimento dei beni e delle risorse necessarie all'esercizio delle medesime. La data indicata nel testo legislativo per i suddetti trasferimenti era il 31 dicembre 2012; come rilevato, queste disposizioni relative allo “svuotamento” delle funzioni provinciali sono “in sospensione” fino al 31 dicembre 2013;
- infine, nel disciplinare le procedure di riordino/accorpamento degli enti provinciali sulla base di criteri minimi collegati alla dimensione territoriale e alla popolazione residente, procedono all’individuazione delle funzioni fondamentali delle Province come enti di area vasta, ai sensi dell’articolo 117 lettera p) della Costituzione (pianificazione territoriale, ambiente, trasporti, viabilità, edilizia scolastica). Restano ad ogni modo ferme le funzioni di programmazione e di coordinamento delle Regioni, nelle materie di competenza legislativa concorrente ed esclusiva assegnate dall’articolo 117 della Costituzione, e le funzioni amministrative esercitate ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione.
Dal combinato disposto delle normative richiamate, risulta ad oggi una situazione provvisoria in cui, nelle more di un intervento riformatore organico, le Province continuano a svolgere per tutto il 2013 (oltre alle richiamate funzioni fondamentali individuate dalla legge n. 135 del 2012) le tradizionali funzioni amministrative già svolte in precedenza, a normativa vigente e prima dell’avvio del processo di riordino, compresa naturalmente quella relativa alla gestione dei servizi per l’impiego.
Dal 2014, si apre su questo versante una situazione di profonda incertezza, aggravata oltremodo dalla mancanza di risorse finanziare ordinarie destinate al sostentamento del sistema, in primis con riferimento al personale impiegato nei servizi per l’impiego. Si tratta di un punto dolente, ribadito con intensità dalle Regioni nelle occasioni di confronto con il ministero del Lavoro, soprattutto in considerazione del fatto che una parte sostanziale dei finanziamenti per il funzionamento dei servizi per il lavoro deriva dai fondi strutturali, in particolare del Fse. Si pone, pertanto, una problematica relativa alle prospettive future del sistema dei servizi per il lavoro, che a sua volta si intreccia sia con le dinamiche del negoziato con l’Unione europea per l’avvio della nuova stagione di programmazione, sia con le ipotesi attualmente in discussione tra lo Stato e le Regioni, legate in una prospettiva più ampia al tema della riqualificazione dei servizi, che potrebbero portare ad innovazioni molto significative e tali da incidere sull’articolazione funzionale del sistema.
Sul versante del negoziato con l’Unione europea, la documentazione propedeutica alla costruzione dell’Accordo di Partenariato annovera esplicitamente tra i risultati attesi in materia di occupazione (Obiettivo tematico 8) il miglioramento dell’efficacia e della qualità dei servizi per il lavoro. In particolare, si richiama la definizione e la garanzia dei LEP e degli standard minimi di servizio rivolti a cittadini e imprese, come risultato specifico da conseguire e da misurare attraverso indicatori ad hoc, accanto alla necessità di rafforzare il partenariato tra servizi per il lavoro, datori di lavoro e istituzioni scolastiche e formative e di integrare e consolidare l’utilizzo della rete Eures nell’ambito del sistema dei servizi. La bozza di Accordo di partenariato - in fase di definizione, concertazione con le istituzioni europee ed affinamento – propone, in tal senso, azioni specifiche, tra cui la costituzione di task force per l’applicazione dei LEP e degli standard, cui si affiancano azioni di governance del sistema finalizzate, tra l’altro, ad operare sul versante della qualificazione degli operatori dei servizi per il lavoro, dell’attivazione di meccanismi di premialità legati alla prestazione delle politiche attive e del monitoraggio e della valutazione delle prestazioni rese dai servizi, in riferimento all’implementazione dei LEP.
Si tratta di priorità di intervento che, pur riguardando la messa a regime di profili di riforma strutturale del mercato del lavoro, trovano nel prezioso sostegno dei fondi europei il canale operativo necessario per potersi radicare sia sul territorio, sia in una dimensione di sistema nazionale. Esse, peraltro, si intersecano con l’obiettivo tematico e con le azioni tese al rafforzamento della capacità istituzionale, intesa non solo come obiettivo specifico (Obiettivo tematico 11), ma anche come condizione preliminare e fattore trasversale incidente sul buon esito di ogni iniziativa. In questo senso, i materiali in corso di elaborazione pongono, a completamento dell’attività richiamata sul versante dei servizi, le azioni volte a potenziare le infrastrutture di servizio del mercato del lavoro, in primis con riferimento al miglioramento delle basi informative, statistiche e amministrative ed all’interoperabilità delle banche dati disponibili. La partita del negoziato è ancora aperta; appare evidente come l’apporto dei fondi strutturali appaia di fondamentale importanza, ponendosi in continuità con quanto realizzato nella precedente e nell’attuale stagione di programmazione, per dare sostanza e continuità alle prospettive future di funzionamento e consolidamento del sistema dei servizi per il lavoro attraverso adeguate risorse finanziarie e professionali.
Le dinamiche evolutive accennate, peraltro, fanno da sfondo alle ipotesi nazionali di riforma sostanziale del sistema dei servizi che affiorano con tratti ancora incerti nel dialogo tra i decisori istituzionali. Siamo di fronte ad una discussione in divenire, che prende avvio dall’esigenza di garantire efficacia e continuità alla rete dei servizi per il lavoro attraverso un disegno più uniforme e una regia condivisa. In questo senso, alcune piste di lavoro ventilate negli ultimi incontri politici, pur partendo dal radicamento territoriale dei servizi, in aderenza agli specifici fabbisogni espressi in ambito locale dal mercato del lavoro e in coerenza con la programmazione e l’organizzazione regionale della rete degli interventi, si pongono nell’ottica di un maggiore presidio da parte dell’amministrazione centrale, quale garante dei livelli essenziali delle prestazioni e responsabile delle funzioni di supporto e monitoraggio.
Si apre pertanto un percorso di lavoro congiunto tra lo Stato e le Regioni, per intervenire sull’assetto del sistema al fine di renderlo maggiormente integrato ed efficiente, in grado di superare le rilevate debolezze strutturali e carenze nel funzionamento e di consolidare un ampio bagaglio, pur diversificato, di esperienze positive in termini di politiche attive e di cultura di servizio rivolta al cittadino, accumulato in quasi quindici anni di attività sul territorio.
2. “Lavoro, politiche attive con il passo del gambero” di Francesca Barbieri, 3 giugno 2013, www.ilsole24ore.com