prima pagina indice del numero stampa questa pagina esporta in pdf Quaderno del 28 giugno 2013

+T -T DOSSIER - Servizi Per Il Lavoro

Servizi per il lavoro: stato dell'arte e ipotesi di riforma


Le novità della legge n. 92 del 2012 - I livelli essenziali delle prestazioni


Glossario:

Sono i livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti al cittadino su tutto il territorio nazionale. Secondo la Costituzione, la determinazione dei LEP rientra nelle materie in cui lo Stato ha una competenza legislativa esclusiva.

Fonte: Art. 117, comma 2 lettera m) della Costituzione.



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Sono i “servizi competenti”, vale a dire i Centri per l’impiego (CPI) operanti su base provinciale e gli operatori pubblici e privati accreditati e/o autorizzati, in conformità delle normative regionali, a svolgere le funzioni relative all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, alla prevenzione delle disoccupazione di lunga durata, alla promozione  dell’inserimento lavorativo, alla proposta di iniziative di riqualificazione professionale. La normativa nazionale e regionale determina gli interventi rivolti ai destinatari dei servizi per il lavoro, tra cui  inoccupati/disoccupati, giovani, adolescenti che hanno assolto all’obbligo scolastico, donne, lavoratori percettori di ammortizzatori sociali, imprese.

Fonte: Art. 1, comma 2 lettera a), b), d), e), f) e g) e art. 3 del D. Lgs. 181/2000 e successive modifiche; art. 4, comma 1 lettera e) del D. Lgs. 469/1997; art. 2, 3 , 6 e 7 del D.Lgs 276/2003 e successive modifiche.



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Un ulteriore ambito di intervento della legge n. 92 concerne l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) dei servizi per il lavoro. Si tratta, come noto, di una questione ampiamente dibattuta tra le Regioni e sulla quale, in diverse occasioni – tra tutte, si ricordi la proposta di un nuovo Masterplan nazionale dei servizi per il lavoro, formulata nel 2008 dalle Regioni e mai portata a compimento dalle amministrazioni centrali – si è acceso un vivace dibattito con il livello centrale, per le diverse problematiche connesse a tale opera di determinazione dei LEP, prima tra tutte quella relativa alla loro copertura finanziaria.
La legge n. 92 interviene sulla tematica con un duplice intervento modificativo del D.Lgs. 181/2000:
- la novella del titolo dell’articolo 3, che viene denominato “Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i servizi per l’impiego”;
- l’aggiunta al testo dell’articolo 3 (riguardante la proposta agli utenti da parte dei servizi per il lavoro di specifiche misure di attivazione) dei commi 1 bis e 1 ter, dedicati, rispettivamente, all’offerta degli interventi di politica attiva a favore dei percettori di ammortizzatori sociali in stato di disoccupazione, ovvero beneficiari di trattamenti di integrazione salariale in costanza di rapporto di lavoro, con sospensione dell’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi.
Inoltre, la legge n. 92 contiene il rinnovo della delega, già prevista nella legge 247/2007 di attuazione del Protocollo sul welfare, per l’emanazione, entro 6 mesi dalla sua entrata in vigore, di  decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego e politiche attive, rimandando a tal proposito ad un’intesa della Conferenza tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome (articolo 4, commi 48-50). Si noti che la delega non è stata esercitata nei termini previsti ed è quindi scaduta; permangono, invece, le modifiche all’articolo 3 del D.Lgs. 181/2000.
Per effetto delle modifiche apportate, il nuovo dettato normativo sancisce che costituiscono livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per il lavoro - concernenti diritti civili e sociali da assicurare in modo uniforme sul territorio nazionale ai cittadini  ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione - le misure di politica attiva, nelle modalità individuate nell’ambito del patto di servizio e in conformità agli obiettivi ed agli indirizzi operativi definiti dalle Regioni, abbraccianti quanto meno:

-  il colloquio di orientamento (entro 3 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione) e la proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione o di riqualificazione professionale o comunque di integrazione professionale, nei confronti di adolescenti, giovani, donne in cerca di reinserimento lavorativo (entro 4 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione) e altri soggetti a rischio di disoccupazione di lunga durata (entro 6 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione);

- il colloquio di orientamento (entro 3 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione), le azioni di orientamento collettivo (tra i 3 ed i 6 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione), con una formazione sulle modalità più efficaci per la ricerca occupazionale adeguate al contesto produttivo territoriale, la formazione (tra i 6 e i 12 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione), di durata complessiva non inferiore a 2 settimane e adeguata alle competenze professionali della persona in cerca di lavoro e alla domanda di lavoro espressa dall’area territoriale di residenza, e infine la proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito, nei confronti dei disoccupati destinatari di ammortizzatori sociali;

- l’offerta di formazione professionale di durata complessiva non inferiore a 2 settimane e adeguata alle competenze professionali del lavoratore, nei confronti dei beneficiari di trattamento di integrazione salariale o di altre prestazioni in costanza di rapporto di lavoro (destinatari di cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, ovvero di prestazioni a valere sui fondi di solidarietà istituiti dalla legge n. 92), in sospensione dall’attività lavorativa per più di sei mesi.

È chiaro che, così scritta, la norma di per sé rischia di restare un contenitore vuoto; essa infatti rinvia alle Regioni l’emanazione di indirizzi per renderla operativa nel territorio, nell’ambito delle proprie regole di funzionamento del sistema regionale dei servizi per il lavoro, senza nulla determinare in termini di condizioni e modalità concrete di esercizio delle politiche attive richiamate (se non sotto il profilo dei termini e della durata delle prestazioni).
D’altro canto, è anche vero che in questo terreno entra in gioco la annosa partita della dinamica tra “LEP” e “standard”; i primi di competenza nazionale, secondo il dettato dell’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione, i secondi afferenti alle competenze delle Regioni, chiamate a declinare sul territorio attraverso propri atti normativi e amministrativi i LEP individuati dallo Stato, procedendo all'individuazione di criteri migliorativi e/o aggiuntivi e di condizioni e modalità di erogazione delle prestazioni, in coerenza con i bisogni e le peculiarità dei sistemi territoriali. Solo in tale dimensione appare, infatti, possibile preservare l'autonomia organizzativa dei sistemi territoriali, delimitando gli spazi di interlocuzione tra i diversi livelli coinvolti. Peraltro, tale impostazione sembrerebbe rispondere agli orientamenti della Corte costituzionale, che già nel 2005 con la sentenza n. 50, ha ribadito l’opportunità che la responsabilità legislativa dello Stato di definizione dei LEP, allorché applicata a materie di cd. “competenza concorrente” (come la tutela e la sicurezza del lavoro), sia sviluppata tenendo conto della necessità di procedere nella regolazione normativa mediante uno sforzo reciproco di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo coinvolti (1). Tale approccio, inoltre, è stato negli anni confermato dalla prassi, che ha registrato in numerosi casi la stipula di importanti intese sui temi del lavoro tra le amministrazioni regionali e centrali, estese talvolta anche alle parti sociali.

Occorre, tuttavia, ricordare come una qualunque riflessione interistituzionale in materia non possa prescindere dalle evidenti implicazioni di ordine finanziario che la determinazione sui LEP inevitabilmente comporta, se ci si pone nell’ottica di assicurare un’effettiva sostenibilità ed efficacia del sistema dei servizi per il lavoro. In questo senso, la legge n. 92 non prevede specificamente risorse dedicate all’attuazione dei LEP, se non con un generico rinvio ad un accordo di Conferenza Unificata per la definizione di un sistema di premialità, legato alle prestazioni dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, a valere sulle risorse del Fondo sociale europeo in coerenza con i documenti di programmazione degli interventi cofinanziati con i fondi europei. Per contro, la legge si premura di chiarire espressamente che dall’attuazione delle disposizioni collegate alla verifica del rispetto dei LEP da parte dei servizi non debbono derivare ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, dovendo le amministrazioni coinvolte provvedere all’applicazione normativa con le risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente (articolo 4, comma 37).

In un contesto di criticità di bilancio, fortemente aggravato dalla crisi occupazionale e dal conseguente veicolo delle risorse economiche fruibili, tanto a livello nazionale quanto al livello regionale, al sostegno degli ammortizzatori sociali in deroga, appare evidente come la norma sui LEP appaia di per sé inapplicabile, se non completata e supportata da una copertura finanziaria adeguata che la renda sostenibile, oltre che esigibile. In questo senso, potrebbe essere utile mutuare la metodologia di lavoro sviluppata sul versante dell’individuazione dei LEP con riferimento ad altri settori, ad esempio la sanità. Ciò premesso, appare comunque opportuno nell’attuale panorama normativo e operativo mantenere acceso il grado di confronto tra le Regioni e le Province autonome per l’individuazione condivisa di alcuni standard comuni relativi all’erogazione delle politiche attive contenute nel patto di servizio/piano di azione individuale, in correlazione al concetto della congruità dell’offerta. Si tratta di un esercizio necessario, a garanzia della funzionalità e dell’omogeneità del sistema, considerando che, dalla stretta applicazione delle norme contenute nella legge n. 92, il rifiuto o la mancata adesione e partecipazione ad un intervento di politica attiva, offerto nell’ambito delle misure concordate tra i servizi per il lavoro e gli utenti, possono di fatto comportare per il soggetto la perdita dello stato di disoccupazione, con le prestazioni a sostegno del reddito eventualmente collegate.

La necessità di individuare i livelli essenziali delle prestazioni riferiti ai servizi per il lavoro, al fine di garantire l’uguaglianza dei diritti dei cittadini e di sostenere il miglioramento dei sistemi in tutto il territorio nazionale, è stata da poco rilanciata nella riflessione politica, che ha riproposto con forza la centralità di tale tematica nell’ambito dell’Agenda dei lavori nella nuova legislatura condivisa sul piano interistituzionale. Le Regioni, in tal senso, nel riconfermare il loro ruolo fondamentale in materia, hanno richiamato i capisaldi su cui potrà ruotare il dibattito sui servizi per l’impiego: territorialità; efficienza, efficacia e semplificazione; intreccio pubblico – privato e uniformità delle prestazioni fondamentali. Come ribadito nel documento approvato nel mese di maggio dalla IX Commissione e proposto al governo, appare necessario “affrontare il tema delle risorse, poiché la copertura dei livelli essenziali delle prestazioni richiede l’individuazione di adeguate risorse professionali, strumentali e finanziarie. A tal proposito, rimane aperto il tema delle risorse umane dei Servizi per l’impiego che oggi, in quasi tutte le realtà territoriali, è coperto con personale a termine, per cui ogni ripensamento del modello deve affrontare tale questione al fine di garantire un adeguato livello di servizi”.


Note:

1. Sul tema dei livelli essenziali delle prestazioni, nei diversi settori (tra cui l’istruzione, il sociale e la sanità), si sono avvicendate numerose sentenze della Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza n. 282/2002 fino a più recenti pronunce intervenute. Negli orientamenti della Consulta, pur riconoscendo che le leggi regionali non possono pretendere di esercitare una funzione normativa riservata in via esclusiva al legislatore statale, si ribadisce tuttavia che si tratta di una competenza di carattere trasversale che non può comportare l’esclusione, o la riduzione, del ruolo delle Regioni nelle materie di loro titolarità legislativa. Pertanto, nei settori che investono la loro competenza normativa, resta integra la potestà stessa delle Regioni di sviluppare ed arricchire il livello e la qualità delle prestazioni garantite dalla legislazione statale, sempre in forme compatibili con quest’ultima (cfr. la sentenza n. 248/2006).