Quaderno del 28 dicembre 2016
FOCUS
La programmazione del Fse, cosa cambia per il 2014/2020
Gli ambiti di intervento
Rispetto alle azioni finanziabili con il Fse non sembrano registrarsi per la programmazione 2014-2020 grandi novità.
Dando per conosciute le previsioni regolamentari sul campo di intervento del Fse, di seguito si cercherà di fornire un quadro sulle scelte più importanti operate dalle Regioni, anche in prospettiva storica attraverso una comparazione con le due programmazioni precedenti.
In allegato si riporta una tabella con tutti i dati dei POR 2014-2020 in valori assoluti e percentuali (sia per OT che per priorità).
A conferma della continuità tra le programmazioni si può ricordare che l’inclusione sociale è stata presente nei programmi operativi fin dal 2000, anche se sicuramente con una quantificazione di risorse assai meno rilevante. Le Regioni infatti nella programmazione 2000-2006 avevano allocato sull’asse (nell’obiettivo 3) o sulla misura (nell’obiettivo 1) corrispondente mediamente circa il 7%; nella programmazione 2007-2013 sono arrivate a poco meno del 10%; mentre sui POR 2014-2020 superano la soglia minima del 20%. A tale proposito si ricorda che la previsione regolamentare di dedicare almeno il 20% del totale del Fondo nello Stato membro all’inclusione sociale appare una novità, soprattutto perché in passato i vincoli finanziari più significativi non trovavano fondamento nelle norme comuni a tutti gli Stati membri, ma emergevano dai negoziati con la Commissione europea (10). L’attuale soglia minima sull’inclusione, pertanto, potrebbe essere letta sia in collegamento con il “ring fencing” sul Fse sia con le soglie previste per la concentrazione tematica. Il ricorso a soglie e vincoli percentuali potrebbe essere considerata come l’opzione di rigore tradotta nella politica di coesione, su cui le Regioni italiane avevano provato a suggerire maggiore flessibilità nella fase ascendente, ma con scarso successo (11).
Nelle passate programmazioni le risorse allocate sull’inclusione sociale sono state utilizzate soprattutto per finanziare politiche attive del lavoro (formazione, orientamento, work experiences e incentivi all’occupazione, nonché forme integrate di tali interventi, a favore di soggetti svantaggiati); nel 2014-2020 si continuerà senz’altro a finanziare questa tipologia di azioni, ma la maggior parte delle Regioni, in forma sistematica o sperimentale, procederà anche a finanziare interventi di politica sociale in senso stretto, avendo anche scelto, oltre la priorità dell’inclusione attiva, anche quella relativa al miglioramento dell’accesso ai servizi, in particolare ci si riferisce ai servizi di cura per l’infanzia e la non autosufficienza. Un evidente orientamento in via esclusiva alle politiche sociali è contenuto nel PON Inclusione che dovrebbe finanziare, con circa il 95% della sua dotazione (750 meuro di Fse), i servizi di accompagnamento al Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) ossia alla nuova “social card”.
La priorità relativa all’inclusione attiva è una delle quattro su cui le Regioni italiane hanno concentrato l’80% - 70% - 60% del Fse (al netto dell’AT) a seconda della categoria di appartenenza (più sviluppate, in transizione, meno sviluppate), come richiesto dalla previsione, orientata ai risultati, sulla concentrazione tematica. Le altre tre priorità, come risulta dalla tabella allegata, in ordine decrescente sono: quella relativa alla promozione dell’occupazione per disoccupati e inattivi, la priorità dedicata ai giovani e quella relativa alla riduzione e prevenzione dell’abbandono scolastico.
Sulla priorità più generale ossia quella dedicata all’incremento dell’occupazione, in considerazione dei compiti del Fse già stabiliti nel trattato del 1957, si riscontra una continuità che ha visto però un decremento sia percentuale sia in valori assoluti degli investimenti dal 2000. Dalle misure attive e preventive che raggiungevano quasi il 30% del Fse (poco meno di 2 mld di euro), si è passati nella programmazione 2007-2013 a poco più del 15%, comprendendo anche le politiche per l’invecchiamento attivo (12) (poco meno di 1 mld di euro); oggi nel 2014-2020 oltre il 17% del Fse andrà a finanziare interventi per favorire l’occupazione. Tra queste azioni il Fse promuoverà “Misure di politica attiva per l’inserimento ed il reinserimento nel mercato del lavoro” tra cui formazione e incentivi alle assunzioni. Per quanto riguarda la formazione si tratterà principalmente di corsi finalizzati all’acquisizione di qualifiche (13).
L’area di intervento che tradizionalmente è stata centrale per il Fse fin dalle origini, ossia la formazione per i lavoratori, sembra invece che in questo ciclo programmatorio abbia uno spazio più ridotto, anche su spinta della Commissione europea che nel suo Position Paper per il negoziato non la considerava una priorità rilevante per il nostro Paese. L’adattamento dei lavoratori raccoglie poco più del 5% dello stanziamento del Fse, mentre nel 2000-2006 arrivava quasi al 12% con quasi 750 meuro di stanziamento e nel 2007-2013 a circa il 16% con circa 1 mld di euro sull’asse adattabilità (14).
Ai giovani le Regioni hanno iniziato a dedicare politiche e risorse già nel corso della programmazione 2007-2013 (15); oggi hanno allocato alla priorità specifica oltre il 15%, quasi 1 miliardo di euro, a cui vanno aggiunti 1,5 miliardi del PON Occupazione Giovani, che ha accolto lo stanziamento della YEI. Inoltre le risorse che le Regioni hanno allocato sulla quarta priorità della concentrazione, ossia il contrasto alla dispersione, possono essere in larga misura ricondotte ad interventi a favore dei giovani, in particolare attraverso il finanziamento di percorsi formativi di IeFP.
Nel confronto tra le programmazioni un dato interessante, anche alla luce dell’accordo quadro tra Governo e Regioni in materia di politiche attive del lavoro siglato il 30 luglio 2015, è quello relativo all’ammodernamento delle istituzioni del mercato del lavoro. All’organizzazione dei Servizi per l’impiego nel 2000-2006 le Regioni hanno dedicato il 7,5% del Fse, quasi 500 meuro, nel 2007-2013 l’ammontare è cresciuto fino ad oltre 630 meuro, con oltre il 10% del totale Fse, mentre nella programmazione 2014-2020 la cifra è scesa a meno di 250 meuro e rappresenta poco meno del 4%. Su tale scelta regionale potrebbe aver influito la poca chiarezza delle politiche nazionali in questo ambito: da un lato, l’eliminazione delle Province e la creazione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) e, dall’altro, il disegno di riforma costituzionale con il recupero al centro della competenza esclusiva in materia di lavoro (16).
Infine sulla capacità istituzionale della PA negli stanziamenti dei POR si assiste ad una sostanziale continuità: dai 165 meuro allocati per l’adeguamento delle competenze della PA nel 2000-2006, ai 130 delle sole Regioni Convergenza nel 2007-2013, si arriva a poco più di 160 meuro allocati sul relativo asse da tutte le Regioni nel 2014-2020. D’altro canto investimenti significativi sulla capacità amministrativa vengono realizzati a livello centrale, attraverso i Programmi nazionali, in particolare il PON Governance, Reti e AT stanzia più di 600 meuro, di cui oltre la metà di Fse, nonché attraverso la creazione dell’Agenzia per la Coesione. Inoltre tutte le amministrazioni che gestiscono Programmi operativi in Italia sono state chiamate a redigere un “piano di rafforzamento amministrativo” in cui potranno confluire anche altre risorse (17).
(10): Così ad esempio il 10% del Fse nel 2000-2006 fu allocato in Italia sull’asse dedicato all’occupazione femminile, amplius sul negoziato 2000-2006 del Fse e i vincoli finanziari della programmazione vedi Quaderni di Tecnostruttura (QT) n. 2 - FrancoAngeli, 2000 - dedicato al Centro-Nord (Ob. 3) e QT n. 3 - FrancoAngeli, 2001 - dedicato al Sud (Ob. 1). Nel corso del negoziato sul 2007-2013 il mandato della Commissione invece non prevedeva per l’Italia significativi vincoli finanziari, cfr QT n. 29, FrancoAngeli, 2008.
(11): Cfr. posizione Regioni sul Regolamento generale del 22/05/2012.
(12): Il valore si riferisce ai dati inseriti nei PO all’inizio della programmazione quando ancora non era stato siglato l’“accordo anticrisi” del 2009 con cui le Regioni si sono impegnate ad utilizzare il POR Fse per intervenire a favore dei lavoratori colpiti dalla cassa integrazione in deroga. Sui dati di attuazione dell’accordo si rinvia alla pubblicazione Isfol, in 2 volumi, “Ammortizzatori sociali in deroga e Politiche Attive del lavoro: monitoraggio dell’attuazione, degli esiti e degli effetti dell’Accordo Stato-Regioni 2009-2012”.
(13): Sull’importanza dell’intervento del Fse nella creazione di un “capitale umano altamente qualificato” come leva effettiva ed insostituibile di sviluppo si veda F. Gagliardi “Politiche per il capitale umano e nuova programmazione del Fondo sociale europeo”, IRPPS, 61/2014.
(14): Anche in questo caso il dato della programmazione 2007-2013 è riferito alle scelte iniziali delle Regioni e non tiene conto di quanto poi successo a seguito dell’accordo anticrisi, su cui solo nei prossimi mesi si potrà verificare il dato di attuazione finanziaria definitivo. Al 31/12/2014 gli impegni giuridicamente vincolanti sull’asse adattabilità hanno superato i 900 meuro.
(15): Già dal 2011 tutte le Regioni avevano strategie di intervento a favore dei giovani, nove avevano dei piani di intervento approvati con DGR, come emerge da una specifica ricognizione presso le Regioni effettuata da Tecnostruttura in vista del Sottocomitato risorse umane del QSN del 2012.
(16): Sulla necessità di chiare politiche ordinarie a cui agganciare gli interventi dei fondi strutturali vedi G. Viesti e P. Luongo, “I fondi strutturali europei: otto lezioni dall’esperienza italiana”, rivista on line della Fondazione RES, febbraio 2014.
(17): Sulla centralità di intervenire sul “deficit amministrativo” in Italia per migliorare la performance relativa ai fondi strutturali vedi G. Viesti e P. Luongo cfr. nota 17. La CE nel Position Paper richiama l’Italia sul punto. Vedi anche G. Bellomo “Politica di coesione europea e fondi Sie nella programmazione 2014-2020: un’altra occasione mancata per l’Italia”, in Istituzioni del federalismo, bimestrale di studi giuridici e politici della Regione Emilia-Romagna, 2014, fascicolo 3. L’autore conclude sulla scarsa capacità amministrativa del sistema italiano proprio con la necessità di “un adeguato apparato istituzionale” per una gestione efficiente dei Fondi Sie.