prima pagina indice del numero stampa questa pagina esporta in pdf Quaderno del 28 dicembre 2016

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L’Accordo Quadro in materia di politiche attive

In questa sezione:


Il rafforzamento dei servizi e l’attuazione del D.Lgs. 150/2015

Accanto alla continuità dei CPI, Stato e Regioni hanno condiviso la necessità di investire per valorizzare e rafforzare, in modo sostenibile, il sistema di erogazione delle politiche attive. Un elemento qualificante dell’Accordo Quadro è, in tal senso, l’impegno a finalizzare la definizione di un Piano congiunto di rafforzamento dell’erogazione delle politiche attive, mediante l’utilizzo coordinato di risorse contenute nella programmazione operativa nazionale e regionale, nel rispetto dell’attuale allocazione di tali risorse e della normativa dell’Unione europea in materia di fondi strutturali.

Il Piano di rafforzamento, come già rilevato, si pone in attuazione della cornice definita dal D. Lgs. 150/2015 e dalla manovra sugli enti locali (art. 15, comma 1, del DL 78/2015) e, di fatto, rappresenta uno strumento preliminare per il potenziamento dei servizi per il lavoro all’interno di un quadro unitario e condiviso, pur nel rispetto delle specificità territoriali. Nell’ambito del Piano, un aspetto di primaria importanza è costituito dalla prevista immissione nel sistema di mille unità di nuovi operatori qualificati, cui si dovrebbero aggiungere altri seicento operatori specializzati sul versante dell’inclusione sociale attiva: in tutto 1600 unità aggiuntive che - seppur a termine - andranno ad affiancare il personale dei CPI nello svolgimento dei loro compiti. Secondo quanto pattuito nel negoziato con il ministero del Lavoro sul contenuto del Piano, la copertura finanziaria per tale personale sarebbe radicata nelle risorse del PON SPAO con riferimento esclusivo a 1000 unità addizionali; con riguardo specifico agli ulteriori 600 operatori con caratteristiche legate al sociale, d’altro canto, le risorse disponibili sarebbero a valere sul PON Inclusione unitamente al PON SPAO.

Le unità aggiuntive di operatori appaiono al momento quanto mai necessarie, nella situazione di carico amministrativo e di sofferenza diffusa in cui versano da tempo i servizi per l’impiego. Ciò, peraltro, avviene a fronte di un progressivo depauperamento delle risorse umane più qualificate, a causa sia dei processi di attuazione della Legge Delrio che hanno interessato in via diretta l’organico in pianta stabile sia, in parallelo, dell’impossibilità di mantenere in forza il personale impiegato con forme contrattuali flessibili e/o a termine, alla luce degli esistenti vincoli ordinamentali e finanziari presenti nella normativa generale. In particolare, in relazione al comparto dei servizi per l’impiego – per il quale, a monte, la Conferenza Unificata con l’Accordo dell’11 settembre 2014 ha condiviso un canale separato di riallocazione - dalle stime effettuate in seno alla IX Commissione e riferite all’annualità 2015, è emerso il dato rilevante di quasi 8500 operatori, a vario titolo impiegati presso i servizi per l’impiego, con funzioni di “back office” che di “front office”. Di questi, circa 7000 dipendenti figuravano a tempo indeterminato, cui si affiancavano circa 750 operatori che, nello stesso periodo, risultavano impiegati a tempo determinato. Nell’ambito della platea degli operatori, inoltre, si inseriva anche il bacino del personale afferente a società esterne e/o in house affidatarie di servizi per l’impiego, che nello stesso arco temporale di riferimento ha superato le 900 unità. Seppur con diversi profili e modalità, il complesso di tali risorse è stato coinvolto, a vario titolo, nell’iter di riforma della cornice istituzionale e ciò si è inevitabilmente riflesso in una sostanziale diminuzione delle sue diverse componenti. In particolare, si è verificato un ricorso significativo ai prepensionamenti, nonché in alcuni casi a una scelta da parte degli stessi operatori di percorsi di mobilità interna verso altri settori delle amministrazioni regionali, spesso a detrimento di quella parte di addetti maggiormente esperti e specializzati del sistema (7).


Dopo un lungo percorso di confronto tecnico e politico, durato oltre un anno, la definizione del Piano appare in fase di completamento, ai fini della sua condivisione in sede di Conferenza Unificata. Le Regioni hanno più volte presentato alle amministrazioni centrali i propri rilievi, finalizzati a mantenere il contenuto e lo sviluppo del Piano sia nell’alveo del rispetto dei principi e dei vincoli normativi che presiedono all’utilizzo dei fondi europei, sia della coerenza con l’autonomia programmatoria dei POR, da tempo già approvati e ormai in fase di sostanziale attuazione. Dal confronto sono scaturiti alcuni meccanismi correttivi e, soprattutto, ha preso forma una impostazione del Piano maggiormente consona alla sua valenza di strumento di rafforzamento dei servizi per l’impiego, nell’ambito di un perimetro condiviso.

Contemporaneamente, ad avviso delle Regioni permangono tuttora da sottolineare alcuni elementi dirimenti, ai fini della effettiva natura del Piano e della sua efficacia. Ci si riferisce, essenzialmente a due aspetti fondamentali ed interconnessi: governance e quadro finanziario. Sul piano della governance, le Regioni hanno ribadito l’opportunità di garantire una organicità nelle procedure di assegnazione e assunzione delle previste risorse aggiuntive, che a monte debbono contemplare una modalità unitaria per le amministrazioni regionali nella gestione dei fondi (in qualità di enti beneficiari, oppure come organismi intermedi). A valle, una volta individuate le risorse aggiuntive, è stata richiamata dalle Regioni l’esigenza di una opportuna flessibilità nel loro utilizzo; pertanto, una volta concordati modalità, criteri e indicatori, è fondamentale che sia consentita alle Regioni l’adeguata autonomia procedurale nell’allocazione del personale da assumere, contemplando e valorizzando le modalità organizzative e le esperienze già in atto sul territorio (ad esempio, gli affidamenti di servizi a società in house, l'utilizzo di graduatorie già disponibili, il ricorso ad appalti). Sul piano finanziario, occorre garantire nella fase di declinazione territoriale del Piano la piena autonomia delle Regioni rispetto sia alla programmazione delle risorse, che all’attuazione degli interventi, che dovranno svilupparsi necessariamente in coerenza con i contesti, le priorità, le modalità attuative e i target già individuati nei POR. In questo senso, dal punto di vista dell’impegno economico, questo potrà essere individuato e declinato solo in un secondo momento, nell’ambito di atti bilaterali tra le singole amministrazioni regionali ed il ministero del Lavoro, quale Autorità di Gestione dei PON, fermo restando pertanto il carattere meramente esemplificativo e ricognitivo delle tabelle finanziarie contenute nelle bozze attuali del Piano.

In questa cornice metodologica, il Piano contiene l’enucleazione di un complesso di interventi di politica attiva del lavoro (tra cui interventi a carattere preventivo e di attivazione e misure dirette di supporto per l’integrazione nel mercato del lavoro), in corrispondenza alle disposizioni contenute nell’art. 18 del D.Lgs. 150/2015. In particolare, a partire dalle misure identificate nel provvedimento, l’obiettivo è costruire con un approccio integrato un percorso personalizzato per l’utente dei servizi per l’impiego, che dovrà comunque essere coerente con gli strumenti di politica attiva adottati a livello regionale.

Si colloca, in questo alveo, anche la riflessione sull’assegno individuale di ricollocazione, previsto negli articoli 23 e 24 del D. Lgs. 150/2015, quale somma graduata in funzione del profilo personale di occupabilità e spendibile presso i CPI o presso i soggetti accreditati per acquisire servizi di assistenza intensiva per ricerca di lavoro e per la ricollocazione di soggetti rientranti nella platea di potenziali destinatari definita dalla legge: percettori di NASPI e in stato di disoccupazione da oltre 4 mesi. L’assegno di ricollocazione, come noto, sta muovendo solo ora i primi passi nell’ambito di una fase di prima sperimentazione dello strumento. Da principio, le Regioni hanno confermato la propria disponibilità a cooperare nella fase sperimentale, purché fossero preservati in modo chiaro alcuni capisaldi dell’azione regionale, relativi rispettivamente ad un triplice profilo di necessità:

- coinvolgimento, fin da subito, dei soggetti accreditati a livello regionale, alla luce della preesistente normativa, tra i soggetti erogatori delle misure di politica attiva, nelle more della definizione di un sistema di accreditamento nazionale ex art. 12, comma 1 del D.Lgs. 150/2015;

- individuazione da parte delle Regioni dei CPI aderenti alla sperimentazione, alla luce del sovraccarico di lavoro di molti CPI e in attesa del previsto rafforzamento dei servizi per l’impiego;

- coordinamento tra le politiche nazionali e regionali, in relazione alle sperimentazioni di strumenti analoghi all’assegno di ricollocazione già presenti sui territori regionali, anche mediante l’individuazione di regole di compatibilità con le misure in corso, evitando una sovrapposizione e una duplicazione di interventi.

Ulteriori e dirimenti aspetti attuativi degli assegni di ricollocazione sono oggi all’attenzione tecnica e politica, nell’ambito di un percorso di approfondimento e chiarimento nel confronto tra ministero e Regioni.

D’altro canto, le Regioni hanno anche richiamato l’importanza di enfatizzare, nell’ambito del rafforzamento dei servizi e delle politiche attive erogate dai CPI, le sinergie con gli operatori accreditati privati, come previsto dall’art. 18 del D. Lgs. 150/2015 e sulla stregua dei modelli organizzativi regionali già esistenti, che hanno dato prova di buoni risultati in termini di efficacia e integrazione degli interventi. A tal riguardo, una componente essenziale della riflessione sarà rappresentata dal costituendo sistema nazionale di accreditamento - recentemente oggetto di una delibera dell’ANPAL - in attesa dell’adozione previa intesa del decreto ministeriale sui criteri generali dell’accreditamento per lo svolgimento dei servizi per il lavoro, ai sensi dell’articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 150/2015. A tal proposito, le Regioni hanno richiamato l’esigenza preliminare di chiarire il rapporto tra il sistema nazionale e i sistemi regionali e le rispettive regole di interfaccia, stabilendo regole certe per una corretta interazione tra i soggetti accreditati e preservando comunque l’autonomia e gli standard territoriali.

Oltre all’accreditamento, diversi restano ancora i punti del Jobs Act che attendono uno sviluppo operativo, a partire dalla adozione, previa intesa con le Regioni e Province autonome, del decreto ministeriale (ex art. 2 del D. Lgs. 150/2015) che dovrà fissare le linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali delle azioni in materia di politiche attive e la specificazione dei LEP in materia di lavoro. Un ragionamento approfondito, inoltre, andrà svolto in merito al ruolo operativo dell’ANPAL, alla luce delle funzioni ad essa attribuite dal decreto legislativo.

Permane tuttavia ancora un’esigenza di chiarimento sullo scenario prospettico in cui si collocheranno i nuovi servizi per l’impiego e sulla valenza strategica o meramente formale che gli si vorrà attribuire, in una nuova possibile impostazione del mercato del lavoro. Le scelte di oggi, compiute e da compiere, avranno il giusto peso. La strada delle leale collaborazione, nel perimetro della normativa vigente, si conferma ancora la via maestra per un’utile ed efficace pianificazione ed attuazione delle politiche nelle materie a potestà legislativa concorrente (8).


Note:

(7): L’attenzione interistituzionale per il personale dei servizi per l’impiego si è focalizzata anche con riferimento agli operatori impiegati con contratti a tempo determinato. Per questo personale, le Regioni unitamente al ministero del Lavoro si sono fatte parte attiva per l’inserimento nel disegno di legge di Bilancio 2017 (o in subordine nell’ambito di un altro veicolo normativo) di un emendamento teso a consentire ad opera degli enti di area vasta e delle città metropolitane le proroghe di tali contratti, anche in deroga ai limiti posti dalla normativa ordinaria in materia di contratti a termine. In particolare, anche a seguito dei confronti avviati con il Dipartimento della Funzione pubblica, Regioni e ministero del Lavoro hanno chiesto una norma derogatoria al limite massimo di 36 mesi, posto dalla normativa vigente in relazione alla possibilità di rinnovo da parte degli enti di area vasta e delle città metropolitane dei contratti a tempo determinato. Ulteriori interventi normativi auspicati dalle amministrazioni regionali attengono alla capacità assunzionale, con la possibilità, per le Regioni e/o per gli enti di area vasta, di procedere a nuove stipule, in deroga ai tetti posti dalle norme attuali.

 

(8): Cfr. Luigi Olivieri, “Le macerie delle politiche del lavoro dopo il referendum costituzionale”, Bollettino Adapt del 5 dicembre 2016.



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