News dall'Europa - Quaderno del 31 ottobre 2014

News dall'Europa

La politica di coesione come aiuto per fronteggiare la crisi

Commissione europea - Rappresentanza in Italia

di Nicola De Michelis
Vice capo gabinetto del Commissario Ue per la Politica regionale e urbana Johannes Hahn

La politica di coesione ha attutito l'impatto della crisi e assicurato un livello minimo di investimenti. La relazione sulla coesione è il più importante documento europeo sullo stato dello sviluppo economico e sociale a livello regionale e locale. La sesta relazione adottata dalla Commissione nel luglio di quest'anno è particolarmente ricca di analisi e di nuove dimensioni dello sviluppo non analizzate nei rapporti precedenti. Mentre rimando alla relazione per una visione d'insieme della situazione della coesione e delle disparità regionali in Europa, mi preme qui sottolineare alcuni aspetti importanti, particolarmente nel contesto italiano.

Il primo riguarda il fatto noto che la crisi ha fatto crollare il tasso di crescita del PIL a partire dal 2008 nella maggior parte dei paesi europei. È interessante notare come la situazione non segua le linee nord-sud, est-ovest, ma interessi paesi dalle caratteristiche molto diverse. Certo il sud dell'Europa, ed in particolare Grecia e Spagna, ma anche i paesi Baltici, la Finlandia e larghi pezzi del Regno Unito. È anche interessante notare come la situazione sia cambiata in modo chiaro a partire dal 2008 per tutti i paesi, ad eccezione dell'Italia che era l'unico paese a mostrare già nel quinquennio precedente segni di un profondo malessere. La crisi ha quindi aggravato una situazione di per sé già difficile.

Il secondo elemento riguarda la fine del processo di riduzione delle disparità regionali tra paesi ed all'interno dei paesi. La cosiddetta convergenza che aveva visto regioni recuperare terreno rispetto alle regioni più avanzate in termini di PIL, di livelli occupazionali, di posizione competitiva, si è fermata e si è invertita. La crisi ha, in altri termini, colpito più duro nelle regioni più povere.

Il terzo elemento riguarda alcune dimensioni dello sviluppo che aiutano a capire anche gli effetti asimmetrici della crisi. Mi limito a segnalare qui la performance delle regioni europee nell'ambito dei sistemi educativi, della copertura della banda larga e della performance dell'amministrazione pubblica. Tre ambiti in cui l'Italia non eccelle. Tre ambiti decisivi per assicurare crescita sostenuta e sostenibile. Gli investimenti nelle competenze è riconosciuto quale uno dei fattori cruciali per assicurare lo sviluppo sul medio periodo: l'Italia non è messa bene né sul fronte della parte della popolazione con studi universitari (tra gli ultimi paesi), né nella parte della popolazione con il solo livello di educazione primaria (tra i primi paesi). La banda larga è sempre più strumento di innovazione, fattore di integrazione, elemento di modernizzazione dell'amministrazione pubblica e delle imprese. Anche su questo fronte, l'Italia non si porta bene con una delle più deboli performance europee sia in ambito urbano che rurale. Infine, la Relazione cerca per la prima volta di misurare la performance dell'amministrazione pubblica, elemento decisivo per il buon utilizzo delle risorse pubbliche e per il funzionamento dell'economia e della società nel suo complesso. Altra dimensione su cui l'Italia è in ritardo. Particolarmente preoccupante non solo la posizione assoluta dell'Italia in Europa, ma anche il fatto di essere uno dei pochi paesi in cui la situazione è peggiorata negli ultimi dieci anni.

Quarto, la Relazione cerca di catturare in un solo indicatore di sintesi tutte le dimensioni dello sviluppo per presentare un'immagine delle regioni europee. Qualsiasi sia l'indicatore utilizzato (l'indice di competitività, l'indice dello sviluppo umano, l'indice Europa 2020), la fotografia è impietosa: l'Italia si colloca sistematicamente nelle ultime posizioni. E per quanto la situazione sia più grave nel mezzogiorno, c'è chiaramente un effetto paese che rende la situazione sistemica.

Infine, la Relazione chiarisce che a fronte di una crisi che ha richiesto il consolidamento dei bilanci pubblici, e di un invito da parte della Commissione a consolidare i medesimi salvaguardando gli investimenti, di fatto la vittima della crisi e del conseguente consolidamento fiscale sono stati proprio gli investimenti. Gli investimenti in conto capitale sono diminuiti del 20% in media, con punte del 60% in Spagna e Grecia, e - in assenza della politica di coesione europea - sarebbero scesi di un ulteriore 50%. Quindi, la politica di coesione ha attutito l'impatto della crisi e assicurato un livello minimo di investimenti. Permettetemi a questo punto di tentare di chiarire alcuni aspetti della politica di coesione che sono stato oggetto - in modo piuttosto confuso - del recente dibattito sulla stampa italiana, e di indicare le questioni chiave relative al funzionamento di questa politica in Italia.

Primo, contrariamente a quanto si pensa, la politica di coesione è di gran lunga la politica pubblica più valutata in Europa. Centinaia di valutazioni tematiche e per paese hanno guardato e guardano a tutte le dimensioni possibili di questa politica. Vuol dire che i sistemi di valutazione non possono essere migliorati? Tutt'altro, ma non c'è altra politica pubblica a livello europeo e nazionale che sia vivisezionata regolarmente come la politica di coesione. Vale quindi la pena di guardare attentamente a questi risultati per trarne utili lezioni per migliorare il funzionamento della politica. Sarebbe utile anche che questo "zelo valutativo" fosse applicato ad altre politiche pubbliche europee e nazionali.

Secondo, le regole della politica di coesione sono note, chiare, trasparenti. Ciò permette - contrariamente ad altre politiche di sviluppo - di avere un vero dibattito pubblico sul suo funzionamento e su come le amministrazioni nazionali e locali ne facciano uso. Permette soprattutto di "rivelare" problemi di funzionamento nell'ambito degli appalti pubblici, dei sistemi di audit e controllo, della legislazione ambientale e così via. Cancellare la politica non vuol dire magicamente risolvere questi problemi, ma semplicemente non parlarne più e nasconderli sotto il tappeto.

Terzo, la politica di coesione può funzionare al meglio solo se è genuinamente addizionale, se - in altri termini - non sostituisce ma si aggiunge alle politiche ordinarie. È solo in presenza di strategie nazionali e regionali a cui raccordarsi che le risorse europee possono massimizzare il loro ruolo. Altrimenti, esisteranno solo politiche straordinarie con risorse straordinarie. Per di più, col mancare delle risorse nazionali, le risorse europee diventano sempre più la sola politica di sviluppo e quindi l'oggetto degli interessi più disparati, riducendone altresì l'efficacia.

La questione quindi, anche in relazione al dibattito italiano, non è "se" abbiamo bisogno di una politica di investimento a livello europeo come la politica di coesione, ma "come" assicurare che quelle risorse siano spese nel migliore dei modi. E questo mi porta all'ultimo punto del mio intervento sull'analisi della Commissione delle difficoltà di funzionamento della politica di coesione europea specifiche al contesto italiano. La Commissione ha individuato cinque temi fondamentali.

In primo luogo, fatto noto, la gestione dei fondi europei in Italia soffre di un'amministrazione globalmente debole. Debole perché le procedure sono farraginose; debole perché le competenze ed i profili professionali spesso mancano; debole perché i tempi di attuazione sono orribilmente lunghi. È questa la ragione per cui la Commissione, di concerto con il governo italiano, ha condizionato l'adozione dei nuovi programmi alla stesura e condivisione al più alto livello politico di Piani per la riforma amministrativa che aiutino le autorità che si candidano a gestire i fondi a risolvere alcuni dei nodi più importanti identificati nella programmazione che si chiude.

Secondo, la programmazione italiana ha sofferto di una grande frammentazione degli interventi, che ne ha reso la gestione - particolarmente in un contesto di debolezza amministrativa - estremamente difficile. Troppi ambiti e troppe misure sono in genere più difficili da governare che poche misure mirate. È questa la sfida della "concentrazione tematica" del nuovo ciclo 2014-2020 che è stata oggetto di discussioni vivaci nel quadro del negoziato sull'Accordo di Partenariato appena concluso.

Terzo, è mancato un presidio nazionale forte. Si può delegare in maniera efficacie a condizione che ci sia qualcuno che controlla cosa si fa ed è capace di intervenire quando le cose non si fanno o si fanno male, un centro che tiene "il fiato sul collo" delle amministrazioni nazionali a regionali che gestiscono i programmi al fine di individuare problemi, fornire assistenza, ed esigere qualità. È questo il motivo per cui la Commissione ha fortemente appoggiato l'idea del governo di creare una Agenzia per la Coesione che completasse il ruolo strategico e programmatico del Dipartimento per lo Sviluppo con una struttura tecnica per monitorare ed accompagnare le autorità preposte alla gestione dei fondi.

Quarto, il sistema dello spoil system che caratterizza molti paesi europei tra cui l'Italia ha un effetto micidiale sul funzionamento della politica. Intere strategie sono rimesse in discussione; competenze sono perse da un giorno all'altro; nuove strutture sono create. Non c'è da stupirsi quindi se molti programmi rimangono bloccati per mesi o anche per anni, in attesa di ricominciare tutto da capo.

Infine, non c'è dubbio che il Patto di Stabilità abbia create ulteriori difficoltà al funzionamento della politica. La clausola per gli investimenti proposta dalla Commissione nel 2013, per quanto modesta e di difficile attuazione, ha il merito di esistere e di mostrare che esistono dei veri margini di flessibilità all'interno delle regole europee per "proteggere" gli investimenti.


In collaborazione con la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea



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